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È stato difficile fare a meno dei servizi bancari, non per giorni, settimane o mesi, ma per quasi due anni. Abbiamo mobilitato risorse di diversi partner e persone singole. Il nome SOS Villaggi dei Bambini ci ha aiutato molto, perché quando andavamo dai nostri partner ci dicevano: «Conosciamo il lavoro che state facendo e tutti i vostri bambini sono nostri figli.» Ci hanno dato diverse risorse senza garanzie: generi alimentari, farina, grano in chicchi e persino contanti. Alcuni di loro ci hanno dato più di mezzo milione di birr [pari a poco meno di CHF 8000], senza alcuna garanzia. Dopo un po’ di tempo, l’ONU ha reso possibile portare denaro contante da Addis Abeba a Mekelle.
Non avendo avuto elettricità per settimane e mesi, abbiamo abbattuto gli alberi nei dintorni per farne legna da ardere per cucinare. Dovevamo andare a dormire prestissimo, già alle sei, altrimenti non c’era luce. Abbiamo trovato una soluzione per ogni sfida che abbiamo dovuto affrontare in quel periodo.
I bambini e i ragazzi non sono andati a scuola per quasi tre anni. Come è riuscito a tenerli occupati e a mantenerli mentalmente sani?
È stata una grande sfida. Sono tornati a scuola solo da poco. In quel periodo i bambini e i ragazzi partecipavano a diverse attività come giardinaggio, sport, arte e altre attività creative. Abbiamo organizzato un programma in cui i fratelli più grandi insegnavano ai loro fratelli più piccoli. Abbiamo anche assunto personale docente per consentire di fare lezioni a casa. Qui ci sono bambini di nove anni che non sono mai andati a scuola.
Ci sono giovani che vivono nei centri giovanili della comunità. Come ha fatto a garantire la loro sicurezza e la loro sopravvivenza?
Abbiamo 121 bambini nell’area del villaggio dei bambini SOS e 141 giovani che vivono indipendentemente l’uno dall’altro, oltre ad alcuni altri ospitati in un istituto per ragazzi e ragazze nell’ambito di programmi di aiuto ai giovani. Se avessimo chiesto loro di venire in ufficio a quell’ora, li avremmo esposti al rischio di essere reclutati per unirsi a gruppi armati. Per raggiungerli, contrassegnavamo le auto [per proteggerle dagli attacchi] e andavamo di porta in porta, a volte pagando loro il 50%, a volte il 40% del loro sostentamento, a seconda di quanto potevamo permetterci. Abbiamo consigliato loro di restare a casa e di non uscire in strada né di notte né di giorno.
Sono stati ripetutamente invitati ad unirsi ai gruppi armati, ma abbiamo sempre sconsigliato loro di unirsi ai combattimenti. Uno dei nostri ragazzi fu rapito dai gruppi armati e noi andammo da loro con il suo certificato di nascita e altri documenti, dicendo loro che era troppo giovane per andare in guerra. Ci hanno dato ascolto e l’hanno rilasciato.
In che modo circostanze così catastrofiche rendono difficile la vita dei bambini che hanno perso i genitori?
In situazioni di emergenza, questi bambini soffrono molto perché tutti in un simile periodo cercano di salvarsi la vita. Qui presso SOS Villaggi dei Bambini abbiamo madri che si prendono cura dei bambini che hanno perso i genitori. Ma nella comunità i bambini che sono stati separati dai loro parenti finiscono per strada. Sono stato testimone dell’aumento dei bambini di strada a Mekelle. Questi bambini sono denutriti perché non hanno cibo e non hanno accesso a cure mediche e farmaci. Hanno bisogno di aiuto.
Lavora con 19 assistenti che hanno una famiglia propria. Come li ha convinti a restare con lei e a lavorare con lei?
Chi ha una funzione dirigenziale svolge un ruolo esemplare, a cui anch’io mi sono attenuto. A ciò si aggiunge il fatto che abbiamo assistenti veramente unici nel loro genere. Hanno fornito assistenza in ogni modo, trascurando le loro famiglie. Erano tutti qui e nessuno ha chiesto permessi, ferie o del tempo libero. Le madri sono molto impegnate. Hanno anche capito che avrebbero potuto perdere la vita trasferendosi qui e là. Se era possibile, contattavano i loro parenti per avere notizie sui loro cari.
Quali sono alcuni dei momenti più difficili che le sono rimasti impressi?
Abbiamo bambini con esigenze particolari nel nostro villaggio e questi bambini hanno bisogno di medicine [ogni giorno]. Ma in quel periodo le medicine erano merce rara dappertutto. Una clinica ci ha consigliato di usare farmaci scaduti. È stato difficile perfino trovare quei farmaci scaduti, anche al di fuori di Mekelle, ma alla fine li abbiamo trovati. Spinti dall’emergenza, li abbiamo dati ai nostri bambini: farmaci scaduti. Non mi piace ricordare quei momenti. Dopo qualche mese, finalmente abbiamo avuto di nuovo accesso a farmaci adeguati e anche più recenti.
Un altro episodio è stato quando la guerra si è inasprita e un collaboratore mi ha comunicato che le nostre risorse erano esaurite. In quel momento ero davvero molto scioccato, perché avevamo fatto del nostro meglio per trovare risorse – il denaro e la farina – e non avevamo modo di ottenerne altre. È stata un’esperienza davvero straziante.
Un’altra esperienza molto personale: in quei giorni bui c’erano frequenti raid aerei, attacchi di droni e colpi di artiglieria sulla città. Mia moglie era a casa con i nostri tre figli e altri membri della famiglia e aspettavamo il nostro quarto figlio. Io ero qui al villaggio dei bambini SOS. A causa dello stress, del trauma e della paura, mia moglie ha avuto problemi di salute e ha perso il bambino. È stato il momento più triste della mia vita. E poi, ho perso anche dei parenti in questa guerra. Alcuni di loro si sono uniti ai combattimenti, mentre altri non hanno ricevuto in tempo i farmaci di cui avevano bisogno. Sono tutte cose che non dimenticherò mai.
Che cosa l’ha spinta ad andare avanti?
La visione e l’obiettivo dell’organizzazione. SOS Villaggi dei Bambini è sempre presente per salvare e proteggere la vita di bambini e ragazzi e questa è una motivazione molto valida. Questa organizzazione è diventata parte della mia vita. A questo si aggiunge tutto l’incoraggiamento della comunità SOS. Quando ho incontrato le mamme, mi hanno sempre motivato: «Vai avanti, saremo al sicuro. Non preoccuparti, questo periodo passerà». Questo mi ha fatto andare avanti. Mi ha motivato anche il riconoscimento dell’organizzazione e l’apprezzamento del lavoro che svolgiamo da parte dei nostri partner e delle persone a cui abbiamo chiesto aiuto.
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